L’informazione neutrale non esiste

FONTE: https://tiremminnanz1.wordpress.com/2024/06/11/linformazione-neutrale-non-esiste/

Il dibattito sulla condizione dell’infosfera, ovvero la globalità dello spazio delle informazioni che viaggiano dai media tradizionali fino al ciberspazio di Internet e del digitale, è sempre più pressante nell’odierna società neoliberale dell’Occidente liberaldemocratico. 

Da una parte abbiamo i “professionisti dell’informazione”, gli autoproclamati paladini della verità assoluta del mainstream come reti televisive, quotidiani e canali digitali che pomposamente dispensano notizie al popolo, mentre dall’altra si nascondono i malefici propugnatori di fake news e disinformazione, coloro i quali vogliono inquinare il dibattito pubblico con falsità e deliberate menzogne utili ai propri loschi fini.

Questo lo scenario manicheo che costantemente ci viene propinato dal potere.

Conseguentemente alla creazione di tale dogmatica distinzione valoriale tra bene e male, incarnata in questa finta contrapposizione tra i media mainstream verificati e tutti quei soggetti non allineati dai quali guardarsi bene, il passo successivo vede la nascita di enti terzi che hanno come unica funzione il compito di controllare e difendere il meccanismo d’informazione predominante.

Da tempo la discussione ha trovato ampio dibattito nel mondo del giornalismo e dei mezzi di comunicazione con l’appello, sempre maggiore, alla fantomatica verifica dei fatti attraverso delle figure professionali incaricate di accertare avvenimenti e dati citati in un determinato testo o discorso, i cosiddetti “fact-checkers”.

Oltre a questi verificatori seriali di fatti, nell’ultimo periodo sono arrivate diverse proposte concrete da parte della sinistra progressista in merito all’istituzione di vere e proprie agenzie o organizzazioni dedite all’analisi del flusso dell’informazione tra media e social media per “registrare eventuali attività di ingerenza” e fake news a danno delle istituzioni di uno Stato. 

Come, ad esempio, l’Agenzia per la disinformazione e la sicurezza cognitiva (Adisc) proposta dal renziano Borghi.

Ma la realtà è ben diversa da come vorrebbe rappresentare la narrazione ora vincente.

La tanto sbandierata lotta alle fake news e alla disinformazione, con i relativi acclarati inviti ad avere dei controllori specifici per questo scopo, non è altro che un preciso attacco a tutto ciò che rappresenta una narrazione alternativa a quella dell’odierno sistema capitalistico. 

Quindi un attacco alla libertà, una caccia alle streghe della nuova inquisizione.

Perché le fake news non esistono

Già parlare del significato del termine fake news è di per sé complicato. 

Come spiegato approfonditamente da Guido Taietti nel suo Stregoneria politica, le fake news non sono semplicemente “notizie false”.

La notizia falsa non solo è sempre stata accettata ma anzi, soprattutto nella comunicazione politica, è diventata ormai la norma. Si sprecano i possibili esempi di notizie perfettamente false utilizzate per giustificare le azioni, per lo più criminali, di questo Occidente a guida americana: dalle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, Gheddafi e Assad fino alle bufale trasmesse su Stati e governi nemici. 

Il potere può mentire, è perfettamente accettato che i media facciano disinformazione, così come è accettato che le istituzioni internazionali mentano e diffondano notizie false. 

Quindi, le fake news che vengono combattute non riguardano il principio di non divulgare falsità o l’impedire che il pubblico venga ingannato nel suo processo decisionale di elaborazione della realtà politica che lo circonda.

Ciò che caratterizza la categoria di fake news è in realtà ben altro.

Nell’odierna società post-ideologica, dove si è raggiunta una completa omologazione per quanto riguarda i macro-temi della politica, una fake news è qualunque informazione che costruisca una nuova narrazione.

Questo concetto riguarda chi diffonde una certa notizia più che cosa contenga la notizia stessa.

Il mainstream bolla come notizia falsa ogni informazione che arriva da soggetti non allineati alla narrativa dominante, e per questo non legittimati. 

L’inconsistenza della falsità come problema dell’informazione si evince dal momento che ogni affermazione vagamente scomoda può essere sempre non perfettamente vera se vengono considerati alcuni parametri, da qui la possibilità di essere bollati come propagatori di fake news anche dicendo esattamente la verità.

La fake news è quindi la notizia che non deve avere legittimità, quella notizia che va ad inficiare la narrazione dei professionisti dell’informazione, unici detentori della verità assoluta.

Così facendo si instaura un meccanismo perverso secondo il quale solamente i singoli individui sono tenuti a controllare e verificare le fonti dalle quali attingono le informazioni (qualora affermassero verità contrarie alla pubblica opinione), mentre i mass media invece sono avvolti da un’aurea di infallibilità che li rende inattaccabili.

Chi controlla i controllori?

Quis custodiet ipsos custodes? Questo si chiedeva il poeta romano Giovenale nella VI delle sue Satire, spinto a scrivere dall’indignazione verso il degrado della società in cui si trovava a vivere nella Roma a cavallo tra I e II secolo d.C.

Un interrogativo che si era già posto precedentemente Platone in alcuni dei suoi più famosi dialoghi.

Il filosofo ateniese ha cercato di venire a capo della questione nella Repubblica, all’interno della quale, in un passo, asserisce in modo simile che i custodi dello Stato devono guardarsi dall’ubriachezza per non avere essi stessi bisogno di esser sorvegliati, affermando lapidariamente come sia “certamente ridicolo che un custode abbia bisogno di un custode”.

Il dibattito sull’effettiva integrità e buona fede di quelle figure dedite al controllo e alla supervisione è presente da secoli, tornando prepotentemente attuale in tutta la discussione relativa a disinformazione e fake news. Un dibattito che però è già falsato in partenza.

Il presupposto, errato o posto in malafede, di chi invoca commissioni di controllo, fact-checkers e agenzie istituzionali per il controllo dell’informazione è quello che delinea l’infosfera come un luogo neutrale dove i buoni (i grandi media del mainstream) sono costretti tutti i giorni a battersi contro i cattivi disinformatori asserviti a chissà quale padrone.

La realtà è che l’informazione neutrale non esiste, così come non esiste una comunicazione indipendente e sana.

Dietro le principali testate o i più importanti canali delle comunicazioni digitali c’è sempre la presenza di grandi gruppi di interesse, così come durante determinati periodi (vedi l’Italia durante la Pandemia) la comunicazione è direttamente plasmata secondo calcoli ben orchestrati.

Avere un flusso di informazioni libero e diversificato non è sicuramente positivo per il sistema capitalistico nel quale viviamo, per questo tutto il richiamo al debunking delle fake news e ai fantomatici fact-checkers non è altro che un utile strumento per una ben determinata narrazione.

Accettare questa “lotta alle fake news e disinformazione” non farebbe altro che dare avvio alla definitiva repressione di qualunque forma di dissenso, mascherata da legittima e necessaria contromisura per il bene comune: una distopia avverata dove censurare qualunque flusso di informazione o dati che non si allinei al pensiero dominante.

È importante comprendere come, da sempre, la stampa e i canali di comunicazione principali siano storicamente soggetti a determinati interessi, che siano essi economici o politici.

Non esiste al momento, e non è mai esistita, un’informazione realmente slegata da queste logiche, tutto il materiale che ci arriva è mediato da una lente piuttosto che da un’altra, bisogna solo capire come utilizzare questo a proprio vantaggio.

Barare è l’unica regola del gioco.

Di Andrea

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